Cento anni nei sacchi. Un campione della produzione italiana nel mondo, di quelli che si rapportano a molte e diverse industry, dall’alimentare alla farmaceutica, all’edilizia, alla chimica, al settore pet. Il Sacchettificio Nazionale G. Corazza dal 1925 è leader nella produzione di sacchi di medio e grande formato che, dagli involucri essenziali delle origini, sono oggi articolati in soluzioni sofisticate che contengono dai 5 ai 50 kg, proteggono, informano.

Una storia che evolve attraverso consumi, costumi e materiali. Dalla tela in cotone degli inizi alle linee diversificate di oggi, in carta e in flessibile, a seconda degli impieghi e dei destinatari. Perché per competere a livello globale bisogna soddisfare le esigenze dei diversi mercati, rispettarne e anche saperne anticipare le normative, saper conservare il vantaggio competitivo di essere alternativi alle divisioni delle multinazionali delle materie prime degli imballaggi.

Una scalata appassionante ai vertici del mercato, sui quali Corazza SpA è solidamente attestata fra i converter indipendenti, restando ancorata alle radici, sia geografiche, sia di valori. La racconta Alessandro Selmin, direttore generale di Corazza SpA, esponente del gruppo imprenditoriale che alla fine degli anni ’80 ha rilevato l’azienda dalla famiglia di cui ancora oggi porta il nome.

Cominciamo dai fondatori Corazza e da Ponte San Nicolò, nel Padovano. Dove abbiamo costruito il nostro sviluppo, senza mai andare via“, spiega Selmin. Nel 1925 l’azienda produce sacchi in tela di cotone bianchi, cuciti sul fondo e sul fianco, pezzi di tela che diventano sacchi fondamentalmente per alimenti, concorrenza pregiata al sacco in iuta, il prodotto più diffuso ai primi del ‘900 per ospitare zucchero, farina e alimenti. I sacchi vengono cuciti uno ad uno, da 130 dipendenti, soprattutto donne. Allora non si parlava ancora di sostenibilità eppure la tela di cotone era quanto di più ecologico si potesse immaginare. Solo dopo la seconda guerra mondiale la disponibilità di carta in rotoli permette di spostarsi verso l’imballaggio in carta.

Una rivoluzione epocale – spiega Selmin -: adoperare la carta significa innanzitutto abbandonare la cucitura a mano. Arrivano le prime macchine automatiche per la produzione dei tubi, sacchi di carta inizialmente ancora cuciti, ma secondo automatismi che non c’erano nella fase precedente“. È il salto in un mercato totalmente nuovo, ma la ripresa negli anni del dopoguerra apre autostrade ai beni e a ciò che serve a impacchettarli. Il passaggio dal cotone alla carta così non solo è naturale, ma necessario, perché senza automazione non si sarebbe potuto reggere il passo del mercato. In Italia viene impiegata per i sacchi industriali appena dopo un paio di realtà già operative in Europa. I Corazza rivoluzionano lo stabilimento, ma non lo spostano. In parallelo cambiano le consuetudini della clientela, chiamata a nuove tecniche di riempimento, tutto si velocizza, nuove destinazioni anche per i materiali di recupero, dopo l’utilizzo dei sacchi. L’Italia comincia a studiare da campionessa d’Europa del riciclo dei materiali cellulosici. “L’automazione permette di aumentare le quantità, crescono i clienti e questi aumentano i volumi produttivi: il mercato si riposiziona sui prodotti nuovi, assecondando un’evoluzione naturale in un mondo che cambia, chiede di più ed accoglie le nuove soluzioni – racconta ancora Alessandro Selmin -. E la carta pone una nuova sfida, che diventa opportunità: la funzione informativa, cosa diversa rispetto alla stampa litografica sul cotone“. Un altro punto sul quale la Corazza vede e interviene prima degli altri: “abbiamo inserito la stampa come fase preliminare rispetto alla realizzazione dei sacchi industriali. Corazza piazza a monte dalla linea di confezionamento dei sacchi una macchina flexo a quattro colori a tamburo centrale“. Siamo nei primi anni ’70: la visione di sacchi stampati con la gestione di informazioni, loghi, immagini, paga. Il pionierismo sviluppato a Ponte San Nicolò verrà copiato da tutti i concorrenti.

Due passaggi importanti portano alla Corazza di oggi. La famiglia che dà nome all’azienda passa la mano alla guida della società e vende, alla fine degli anni ’80, dopo l’avvicendamento di due generazioni. Benito Selmin, allora direttore generale, traghetta verso l’acquisizione entrando in società nella nuova compagine. Due nuove generazioni, il cavalier Benito presidente e il figlio Alessandro direttore generale, governano il nuovo assetto e imprimono una connotazione più spiccatamente manageriale all’azienda, con obiettivi strategici, investimenti, programmi e target di mercato, che imprimono una forte accelerazione all’attività.

Si resta a Ponte San Nicolò, ma con un nuovo stabilimento. Nasce nell’area industriale artigianale appena inaugurata nella cittadina, con un primo capannone da 12.000 quadri. Aree nuove, spazi nuovi, nuove tecnologie: ci sono clienti che chiedono imballaggi in plastica e la Corazza Spa, anziché lasciarli a fornitori alternativi, diversifica. Il mercato è il mondo e parte di qual mondo chiede il flessibile. “Iniziamo con le bobine di tubolare ‘form, fill and seal’ e le bobine piane laminate, costruendo dall’interno il know how, un passo alla volta, senza attingere a risorse esterne o acquisire aziende o persone“. Fino alla attuale – e orgogliosa – caratterizzazione. “Negli anni 2000 abbiamo aggiunto nel logo un pay off che ci identifica: ‘Specialist in packaging’. Nel mercato siamo collocati come esperti nella specializzazione, nel realizzare sacchi definiti complessi e mal digeriti da altri. Prodotti in cui non è semplice raggiungere la soddisfazione del cliente: ecco, noi sappiamo di avere know how e tecnologie elevati, siamo avanti nel fare le cose bene e consolidarci nelle fasce esigenti del mercato. Essere specializzati è la nostra vera specialità“. Quanto a prodotti, si badi bene, questo non si traduce in piccoli numeri, quanto a referenze: il lavoro, solo su commessa, è sviluppato con un gestionale che comprende circa 10.000 articoli, variati in base alle specifiche tecniche uniche che li contraddistinguono.

È sempre Selmin che parla. La specializzazione a cui si fa riferimento è stata raggiunta attraverso un percorso non facile, ma che ha portato alla realizzazione di una divisione imballaggi flessibili che oggi pesa per il 50% sul valore dell’azienda, con equa divisione dei 100 milioni circa di fatturato fra le due divisioni. In forza alla Corazza ci sono 243 dipendenti, in uno stabilimento unico di 57.000 mq con servizi in comune alle due divisioni e le specializzazioni relative alle due linee di prodotto. Un tema, quello delle risorse umane, per il quale l’azienda più di una volta è stata al centro delle cronache per la difficoltà di reperire personale. Selmin non si sottrae alle spiegazioni: “Per salari e tutele welfare siamo ben al di sopra degli standard. Ma la nostra è una manifattura con macchinari complessi, in funzione per 5 giorni alla settimana h24. Occorrono i turni e oggi i giovani non si riconoscono più in questo modello. C’è un turn over elevato nella fascia 20-30 anni, per cui guardiamo con attenzione a personale anagraficamente più avanti, che per scelta di vita gradisce legarsi ad una realtà come la nostra, radicata al luogo e ai valori della produzione e del benessere della nostra famiglia allargata aziendale. Lo dimostra un secolo di storia“.